Sollima dirige una storia sugli addii delle figure maschili. Non è un caso, infatti, che l’inizio sia scandito dalle dimissioni di papa Ratzinger e che il finale si chiuda con le dimissioni di Silvio Berlusconi. Padri che abbandonano i figli (quello del publicist si suicida), padri dei cui figli non saranno mai all’altezza (Numero 8). Questi padri, però, sono anche figurati probabilmente. L’assenza di figure genitoriali maschili – la cui mancanza logora e deteriora – potrebbe essere un riferimento alla malattia dell’Italia, priva di una guida paterna e al contempo invecchiata dalla generazione precedente che non libera mai le poltrone ai propri figli.
Siamo nel 2011 e Sollima immagina la rete di corruzione tra politica e malavita in tante piccole, grandi storie che s’intrecciano fatalmente. Suburra è un film potente, con un ritmo serrato della migliore unione tra Gomorra – la serie e Romanzo criminale, i due lavori precedenti del regista. Al ritmo della serialità Solimma sembra essersi tanto legato da aver girato un’intera stagione in un film, disseminando di piccoli errori narrativi da “mancata serialità” la pellicola, errori che risiedono nell’ignorare il racconto delle micce scatenanti di alcune azioni chiave dei personaggi. Errori che si perdonano affascinati dalla fotografia noir e dal montaggio da video clip dallo squisito gusto pop.
Un cast incredibile sorregge la vicenda: a partire dall’indiscusso talento di Pierfrancesco Favino, al grande caratterista Elio Germano fino a Claudio Amendola che forse ci sorprende più di tutti con il suo boss senza eccessi, da montatura dorata e giacca a vento.
Un film imprevedibile dove ogni piccola pedina ha il suo ruolo fondamentale e dove nessun pesce è troppo piccolo e nessun pesce è troppo grosso. Una storia di rivendicazioni, di vendette o semplicemente delle battaglie per trovare il proprio posto in un mondo sporco e malato. Solimma firma un nuovo lavoro autoriale, dalla fotografia sporca e dalle storie ambigue: come la società italiana che racconta.