Claire, che appare come l’amica dimessa e meno carina di Laura, ora che lei non c’è più è come se fiorisse, esplodesse nella sua sensualità. L’esplorazione della femminilità di David è esplorazione della femminilità di Claire al contempo, in un intreccio morboso eppure elegante e candido. Già, perché nello sguardo di Ozon c’è una tenerezza che si traduce in fluidi movimenti di macchina, romantica sconcezza sull’inquadratura fissa che poi risale dagli abissi del desiderio fino alla sommità dei sentimenti. I gesti – tanto intimi da essere amorosi – dell’adolescenza di Claire a Laura, diventano i gesti condivisi della prima con David in un triangolo fortissimo e conturbante, dove il terzo estremo non è il più volte citato Gilles (che viene però amalgamato nelle fantasie di Claire in quel turbamento), così distante dal capire cosa agita la moglie e cosa ne modula gli amplessi, ma Laura. Lei, che non conosciamo mai se non attraverso l’amore morboso e profondo dei due protagonisti.
Laura, dunque, è lesbica? E David? Non importa. Il racconto è così naturale, romantico ed erotico che non importa nulla se non la passione profonda e mai detta, quella passione che agita gli esseri umani aldilà delle etichette che ci diamo e che ci danno gli altri, che nel film si fanno carne nello sguardo bello ma distante di Gilles.
In simbolismi cari al cinema francese, Ozon riesce a guidarci in una narrazione difficile e piena di livelli di significati, come la scena in cui David ruba le calze di Claire per poi indossarle: nel buio della sua stanza, supino, lui è sospeso nell’accettare di se stesso. Sospeso tra l’essere donna e uomo, che visivamente si traduce in quella persona divisa a metà tra le autoreggenti e gambe sensuali, e un busto ruvido e barba incolta. Chi siamo? Dove andiamo? Chi amiamo?
Nel buio delle nostre coscienze, Ozon ci scuote dal torpore di sentieri prestabiliti e cammini asfaltati. Noi, allo stesso modo di un certo poeta, abbiamo scelto il sentiero meno battuto nel bosco e lì abbiamo trovato noi stessi.